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domenica 28 novembre 2010


UBIQUO 
Cosimo Piediscalzi Solo Show
13 novembre - 11 dicembre 2010




Dal13 novembre al 11 dicembre Underdostudio ospita UBIQUO, mostra personale di Cosimo Piediscalzi, che si ripresenta al pubblico in veste di artista dopo un lungo intervallo dedicato alla ricerca e alla scrittura. 

L'allestimento comprende sculture, dipinti e disegni di recente produzione, fra cui spicca un'opera su carta di grandi dimensioni, che vede materializzarsi un puzzle di sessanta autoritratti organizzati in un piccolo esercito pronto a invadere l'intera parete, moltiplicando nella coscienza dello spettatore l’effetto straniante di uno sguardo disincantato, malinconico, pietoso o accusatorio.



Testo critico a cura di Barbara Galati




L’UNICO MODO PER METABOLIZZARE ME STESSO


di Barbara Galati

Cosimo Piediscalzi è uno Scrittore prima di tutto e sopra ogni cosa, ma lui per punirsi dipinge, si proprio per infliggersi una pena! Perché a suo dire la pittura esprime solo la sua “anima” imperfetta.

Ho smesso di dipingere, in poche parole come sempre ho cambiato pelle ricadendo nell’eterna mia doppiezza espressiva; e ho avvertito il bisogno di rinunciare alla pigrizia tipica della pittura per tornare ad esercitare i neuroni: in poche parole è morto il Piediscalzi pittore per la centesima volta; dando spazio al Piediscalzi che scrive, che studia, che cerca, ecc...

Ma è proprio in questa fase che il Piediscalzi rimarca il suo dislivello creativo, divario che si crea tra il pensare-scrivere e il pensare-dipingere.

Per questo ogni mattina svegliandomi io benedico un milione di volte la Scrittura! Che pare rispettarmi ed essermi più amica della pittura”.

Egli infatti, con modestia e disperazione, prende atto che la sua pittura spesso fallisce, un fallimento relativo alla mancata simmetria tra la sua mente e la mano, tra i suoi pensieri e i mezzi pittorici, tutto quindi viene ricondotto e spiegato attraverso questa sua peculiare imperfezione.

Ciò che spesso penso o ciò che scopro, ciò che so o ciò che sento; fruisce quasi ottimamente tramite la scrittura e malamente mediante la pittura.”

Ma la cosa più assurda di questa doppiezza nasce dal fatto che se si chiede a Cosimo Piediscalzi di parlare di sé stesso a parole, lui non ci riesce e si perde nei meandri di una consapevole descrizione. L’unico modo che egli ha per enunciare se stesso, le sue manie, le sue idiosincrasie, il suo carattere e le sue emozioni è paradossalmente l’Autoritratto.

Cosimo, in questa scrupolosa descrizione di sé, indulge nella cura quasi maniacale del dettaglio, si descrive adornandosi con grande ricercatezza, mostrandoci peculiari dettagli della sua personalità. In tal modo la soggettività dell’individuo, rappresentato attraverso l’autoritratto, costituisce il punto di riferimento da cui deve partire la riflessione sulla ricerca dell’Io. Piediscalzi diventa in tal modo il narratore di quest’autobiografia la cui trama si snoda attraverso le pagine del suo “Diario visivo”. Il disegno è rapido, amaramente ironico e si consuma dentro un puzzle di facce dalle vicende paradossali che si risolvono nella “pulizia” di un solo foglio, enorme e bianco. Così il suo diventa una sorta di racconto per immagini, dove il ritratto finisce per sostituire le frasi e il bianco funge da pausa narrativa. Su tutto aleggia un’aria di privazione: il disegno è privo di colore, il colore privo di disegno, la mostra priva di spettacolo, retrocedendo così a ritroso su se stessa, fino a manifestare la sua semplice possibilità. Il suo è un universo accogliente e intimo dove permangono le emozioni e le libertà dei bambini, dove si conserva intatto l’approccio apparentemente innocente ma crudelmente cinico e provocatorio della fanciullezza. Tutto questo non si limita alla descrizione di sé, ma appare come una decostruzione dello stereotipo attraverso il suo stesso simulacro.
E nonostante la sua vera natura lo porterebbe e lo porta puntualmente più allo studio di materie quali la fisica, l’astronomia, la cosmologia, la scienza, traghettandolo lo stesso e sempre verso la poesia: il suo vero mestiere. E ora ritorna dopo una pausa a dipingere, nuovamente.

Ma al solito tutta la mia impronta personale, liturgica, mistica, perchennò paranormale che credo di aver conquistato, non collima ancora una volta con il disegno.

Così, all’interno di questa mostra ritroviamo quell’uso sporco dell’espressione, cui era molto legato in adolescenza. Ritroviamo il frutto di nuove tensioni che sono nuove ricerche e nuovi ambiti: la mistica, il trascendentale, il colloquio cosmico con dio, l’ascesi, l’analisi, la preghiera, il sovrannaturale, l’archetipo…

E in più per fuggire dal disegno in sé sto cercando di ri-tornare ad un altro mio vecchio amore: la scultura.”

Vi è l’esigenza disperata e liturgica di includere nel proprio lavoro di singolo l’Altro e il Tutto, inteso come soggetto che concorre al compimento dello stesso lavoro, in cui la realtà non è rappresentata ma provocata dall’artista stesso.

Guardo i mondi senza di me, ma appunto le cose tramite un diario d’inferni privatissimi”.

Egli riesce solo come pittore a metabolizzare se stesso.

Io sono Eukaryota. Infraphylum e gnathostomata, sono una cosa ma non fino in fondo: Euarchontoglires e ànemos. Sono lo squallore della carne comune, il software che crea occhi auto-speculativi. Io sono un mezzo fino a Dio: pnéuma elettrico con una varietà di Spin preferenziali, io sono sufficiente nel tempo che si frantuma in driver: a ciascun bit il suo. Io sono una creatura che nella terra non ha originato che passaggi: varamenti e dubbi. Sono un computer ubiquo…”